Hasselblad

Intervenire sul tema Hasselblad dopo Richard Nordin non è una cosa semplice. Pur avendo diversi interessi e professioni dato che Richard è un biologo canadese mentre io sono solo appassionata di fotocamere vintage, abbiamo in comune qualcosa, che non è la semplice passione per la fotografia. Oltre alla fotografia a noi interessano in particolare gli strumenti del fotografare, le fotocamere, la loro storia, la loro evoluzione. Si tratta di un interesse,  a livello di un hobby, magari prezioso, esclusivo e coinvolgente, ma sempre un hobby. Si tratta di una curiosità , di un impegno che appaga un nostro profondo desiderio di conoscenza, di approfondimento . Il fatto che alcune di queste ricerche personali si concretizzino poi in libri o nella collaborazione a riviste specializzate, non è assolutamente un fatto determinante. Raccogliendo, leggendo e studiando tutto quanto è stato scritto e pubblicato su un certo argomento può andare a finire che uno si faccia la fama di esperto. E Richard Nordin, sotto molti punti di vista, è esattamente questo, un esperto che ha legato il proprio nome a quello del marchio svedese Hasselblad. Io non mi considero invece un esperto, e tanto meno di Hasselblad, fotocamera che invidio ma che non possiedo. Non sono un esperto perché le mie ricerche si basano su documenti già noti e pubblicati, e perché raramente mi imbatto in notizie di prima mano o inedite.

E poi sono un curiosa a 360 gradi,, preferisco al termine “esperta” il termine “appassionata di fotocamere vintage”. Non pretendo infatti di avere la conoscenza perfetta di ogni argomento, ma cerco di condividere le poche o tante conoscenze che ho con il mio ristretto pubblico, cercando nel frattempo di accumularne di nuove. Per questo frequento le fiere del collezionismo fotografico, per incontrare oggetti, libri e persone. Per questo ringrazio Dante che continua ad offrirmi le opportunità di incontrare così tante persone interessanti e senz’altro molto più “esperte” di me.

Parlando di Hasselblad

Negli ultimi anni le Hasselblad erano profondamente cambiate rispetto al concetto originario.  Le Hasselblad di oggi non sono più fotocamere universali, o per lo meno non lo sono più nel senso in cui erano nate e si erano qualificate negli anni ’60, ’70 e ’80. Non si tratta più, tanto per capirsi, di un sistema fotografico inesauribile e flessibile ma costruito attorno ad un unico corpo macchina e costituito da un certo numero di accessori, obiettivi, magazzini e mirini, combinando i quali si riuscivano a risolvere i problemi fotografici più diversi e le situazioni più difficili. Le reflex Hasselblad di oggi sono invece una famiglia numerosa, costituita da sei diversi corpi macchina, ognuno dei quali è progettato per un tipo diverso di esigenze e di fotografia. Oltre ai sei corpi macchina reflex vi sono la grandangolare SWC, il Flex Body o corpo flessibile, l’Arc Body che non è un corpo fatto ad arco, ma è studiato per l’architettura e per gli architetti, e monta una serie di obiettivi decentrabili Rodenstock che non sono inseriti nel sistema Hasselblad reflex. A queste fotocamere speciali si è recentemente aggiunta la 35mm panoramica XPan, corredata con una seconda serie di obiettivi giapponesi, anche questi incompatibili con il sistema Hasselblad reflex.

Un mondo che cambia

Non c’è dubbio che negli ultimi cinque anni il mondo è cambiato. Ma che cosa è cambiato nel mondo della fotografia, se con una Hasselblad di ieri e alcuni accessori si potevano affrontare tutti i problemi fotografici mentre oggi la stessa Hasselblad propone nove diverse soluzioni in gran parte incompatibili fra di loro? Nel 1965 vi erano in catalogo solo tre fotocamere di nome Hasselblad, la 500C, la 500EL e la SWC. La 500EL motorizzata era rarissima, la SWC era troppo particolare per riprese generiche. Così parlando di Hasselblad si intendeva sempre la 500C, senza bisogno di specificare troppo. Del resto, delle tre fotocamere la 500C era senza dubbio la più originale e la più ricca di personalità. Dopo trent’anni, nel 1994 le fotocamere Hasselblad erano salite a cinque. Le tre fotocamere del 1965 vi erano ancora, anche se con nomi leggermente  diversi. La super grandangolare SWC era diventata 903 SWC senza aggiungere niente alle proprie prestazioni, la motorizzata 500EL era diventata 553 ELX incorporando in più solo una cellula per la lettura della luce del flash, e la 500C si era sdoppiata nei modelli 501C, fedele all’originale, e 500CX con cellula flash. La quinta Hasselblad con otturatore a tendina da 1/2000 di secondo era la 205 TCC, erede sofisticata della Hasselblad 2000 FC del 1977. Per lo sfruttamento completo delle prestazioni offerte dalla 205 TCC si richiedono però degli obiettivi, dei magazzini e dei mirini diversi da quelli in dotazione alle altre Hasselblad. Con questo il concetto di continuità e modularità su cui si era fondato il sistema Hasselblad risultava essere già scardinato. Dal 1977 siamo in effetti in presenza di due diversi sistemi Hasselblad, che convivono entrambi con il terzo sistema, quello grandangolare della SWC. Mentre il sistema basato sugli otturatori Compur non sembra suscettibile di ulteriori sviluppi, il sistema basato sugli otturatori a tendina è aperto verso le possibilità offerte dall’elettronica, ma è costretto ad integrarsi in qualche modo nel sistema opposto, anche a costo di costringere quest’ultimo a modificarsi.

Ma è nel corso degli ultimi cinque anni che le contraddizioni fra i due sistemi esplodono con maggiore evidenza. La 205 TCC, punta avanzata del sistema a tendina, viene affiancata da due altri modelli elettronici dalle prestazioni più limitate, la TTL automatica 203 FE e la cieca manuale 201 F, velocemente sostituita però dalla TTL automatica 202 FA. La stessa 205 TCC cambia nome e diventa 205 FCC, ma anche fra le eredi della vecchia 500C si registrano mutazioni genetiche rapidissime. La 503 CX diventa prima 503Cxi e poi 503CW e viene accessoriata con un winder esterno da applicare alla manopola di carica, nello stesso modo in cui vengono motorizzate le Hasselblad della famiglia 2000, dal modello 2000 FCW in poi. Nonostante questo la Hasselblad 553ELX non solo non esce di produzione, ma si aggiorna con l’aggiunta sul dorso di alcuni nuovi contatti per la registrazione digitale delle immagini e diventa la Hasselblad 555 ELD. Questa modifica, ci scommettiamo, verrà presto estesa anche agli altri modelli nel giro di qualche anno o qualche mese, e la casistica degli apparecchi in catalogo aumenterà ancora, frantumando ancora di più un sistema che una volta era monolitico in un ventaglio di proposte che già oggi risultano non essere neppure troppo diversificate fra di loro.

Le vite parallele

Molte delle scelta fatte dalla Hasselblad nel corso degli ultimi venti anni non sono state del tutto libere, ma sembrano essere state imposte da una concorrenza che nel settore del medio formato si è fatta agguerrita quanto e forse ancora di più che nel settore delle reflex 35mm, e da una tecnologia elettronica che ha continuato ad avanzare in maniera impetuosa imponendo nuovi metodi di progettazione e di costruzione delle fotocamere. Dagli anni Trenta alla fine del millennio, la Hasselblad è stata preceduta, accompagnata e seguita da numerose fotocamere reflex e non reflex di medio formato che hanno adottato soluzioni talvolta simili e talvolta opposte a quelle adottate dalla Hasselblad stessa, talvolta ponendosi a rimorchio della casa svedese, talvolta anticipandone addirittura le mosse. Per capire le scelte e l’evoluzione delle Hasselblad, così bene esposte da Richard Nordin, non è forse inutile ricordare le tappe delle sue principali anticipatrici, concorrenti e imitatrici, da Korelle e Primarflex fino a Bronica e Mamiya, da Rollei a Pentax, da Pentacon a Fuji, fino alla ultima nata, la Contax 645.

Un piccolo passo indietro

La tipologia reflex monoculare è nota fino dall’inizio della storia della fotografia e trova molte applicazioni pratiche già alla fine dell’Ottocento. Sono moltissime le monoreflex costruite a cavallo del secolo nei complicatissimi modelli a soffietto o nei semplicissimi modelli tipo box. Nei primi anni del nuovo secolo sono molte le industrie inglesi e tedesche che costruiscono fotocamere monoreflex, equipaggiandole con ottiche luminose e con otturatori a tendina dalle prestazioni ancora oggi stupefacenti. Estremamente complesse dal punto di vista costruttivo, le monoreflex per lastre di grande e medio formato riescono a raggiungere dimensioni accettabili e a diventare portatili solamente grazie alla chiusura del soffietto, al ribaltamento dello specchio e al ripiegamento multiplo del cappuccio. Accanto alle fotocamere per lastre di formato mezza lastra o un quarto di lastra (11×16.5 e 8×10.5) si cominciano a costruire monoreflex per i formati più piccoli. La Voigtlaender Bijou del 1902 utilizza lastrine di formato 4.5×6, come la più recente Ermanox Reflex del 1926 costruita da Heinrich Ernemann.

Specchi mobili e pellicola in rotolo

Con la diffusione a livello popolare delle pellicole in rotolo si cominciano a costruire nel nuovo secolo le prime fotocamere monoreflex con caricatori per il film in rullo. Per la cronaca, una delle prime monoreflex per pellicole in rotolo è la Graflex del 1910, che non utilizza né i rulli di tipo 120 né il formato 6×6, ma utilizza invece i rulli di tipo 116 per il formato 6.5×11, con una superficie più che doppia rispetto al 6×6. Forse la prima monoreflex costruita in serie per utilizzare il film da 120 per il formato 6×6 è la Roll Paff della società Ihagee di Dresda, messa in produzione nel 1921. La Roll Paff, come la contemporanea Plan Paff, è una fotocamera molto semplice del tipo box, con uno specchio di mira mobile, ma è assolutamente priva di meccanismi di messa a fuoco. Al contrario della Plan Paff che utilizza un portalastre per lastrine di formato 6×6 o 6.5×9, la Roll Paff utilizza un dorso caricabile con comune film di tipo 120 e viene equipaggiata con un obiettivo Trioplan da 90mm f/6.8. L’otturatore permette solo l’istantanea e la posa, mentre il formato quadrato permette l’esecuzione di dodici scatti successivi, evitando l’imbarazzo della scelta fra l’inquadratura verticale e quella orizzontale.

Nel 1924 la società londinese Houghton presenta una monoreflex per pellicola in rullo battezzata Ensign Roll Film Reflex. La fotocamera, con struttura in legno e forma ancora scatolare, utilizza il film di tipo 120 per otto immagini di formato 6×9 e viene equipaggiata con un obiettivo Ross e con un otturatore semplice che permette solo la posa e l’istantanea. La fotocamera viene costruita in diverse varianti, fra le quali una è nota con il nome di Butcher Reflex Carbine, e una è invece la versione tropicalizzata, equipaggiata con un otturatore a tendina con velocità da 1/25s a 1/500s.

Dalle box alle fotocamere a sistema

Nel 1933 la società statunitense Folmer Graflex Corporation di Rochester inizia la produzione delle fotocamere monoreflex National Graflex, per pellicole in rullo tipo 120 e per dieci negative di formato 6×7, in realtà 57x68mm. Le National Graflex hanno una forma caratteristica ottagonale, derivante da una scatola rettangolare con gli angoli decisamente tagliati, e vengono protette da un grosso coperchio ribaltabile. Le National Graflex vengono equipaggiate con otturatori a tendina con velocità da 1/30s fino a 1/500s e con obiettivi non intercambili Tessar 75mm f/3.5 costruiti da Bausch & Lomb. Le National Graflex vengono costruite, in almeno due diverse versioni fino al 1941. Il secondo tipo ha l’obiettivo standard intercambiabile con un tele da 140mm f/6.3, fornito anch’esso dalla società Bausch & Lomb. Le reflex 6×9 Houghton e Graflex permettono solo riprese in orizzontale.

Dal rullo 127 al rullo 120

Nel corso degli anni Trenta sono molte le monoreflex per pellicola in rullo che vengono messe in produzione, specialmente in Germania. Nel 1932 la società Karl Arnold di Marienberg presenta una fotocamera per pellicola di tipo 127 battezzata Karma-Flex di formato 4×4. La Karma-Flex viene costruita in due versioni, una biottica e una monoreflex. Accanto alla monoreflex Karma-Flex 4×4 viene costruita anche una Karma-Flex 6×6 per pellicole 120, di cui non si conosce molto. La Karma-Flex 6×6 sembra derivare da una modifica della fotocamera 6×6 Karma-Sport, una fotocamere con mirino ottico fornita di un corpo macchina talmente largo e massiccio da poter contenere senza sforzo uno specchio mobile.

Le fotocamere monoreflex di medio formato dei primi anni Trenta sono più orientate verso il film 127 che non verso il film di tipo 120. La società Ihagee di Dresda, visto il successo ottenuto negli anni Venti dalle sue reflex pieghevoli per i formati medio grandi e visto il successo delle sue Nachtreflex per lastre 4.5×6 e 6.5×9, presenta nel 1933 una monoreflex per il formato Vest Pocket 6.5×4 su pellicole in rullo di tipo 127. La fotocamera viene battezzata Exakta ed è destinata a segnare una tappa fondamentale nello sviluppo delle monoreflex. La Exakta del 1933 utilizza il popolare formato Vest Pocket molto allungato, permette inquadrature orizzontali e grazie all’otturatore a tendina sul piano focale consente la sostituzione integrale dell’obiettivo con innesto a vite, almeno a partire dal 1934. Nonostante il successo commerciale delle Exakta la tipologia monoreflex per il formato Vest Pocket non viene imitata da nessuna altra industria fotografica.

Nel 1933, ancora a Dresda, la società Kamera Werkstaetten di Guthe & Thorsch presenta invece una fotocamera tipo box con mirino reflex per il formato 6×9 su pellicola in rullo tipo 120. Si tratta di una fotocamera dalle prestazioni molto modeste, con ottica fissa da 105mm f/6.3 o f/4.5 e un otturatore del tipo a ghigliottina che permette solo tre velocità, 25 50 e 100 oltre alla posa B.

Verso le reflex 6×6 moderne

Nel 1935 vengono presentate in Germania due fotocamere monoreflex 6×6 molto simili, sia nella forma che nelle prestazioni. Entrambe le fotocamere utilizzano otturatori a tendina ed entrambe sono stilizzate in maniera simile alle Exakta VP. La prima di queste fotocamere viene battezzata Noviflex e viene costruita dalla società Eichapfel di Dresda. Il dorso della fotocamera è incernierato sul fianco, la pellicola scorre in senso orizzontale da sinistra a destra e i comandi sono sul tettuccio, ad eccezione del pulsante di scatto costituito da una leva che si trova invece sul lato destro della grossa scatola dello specchio sporgente dal frontale. L’otturatore a tendina offre sei velocità da 1/20 a 1/1000 oltre alla posa B. Il mirino è protetto dalle paretine metalliche ribaltabili e incorpora la lente di ingrandimento per la messa a fuoco di precisione sul vetro smerigliato. La scelta degli obiettivi è limitata alla focale di 75mm, a scelta fra uno Schneider Xenar f/2.9 o f/3.5, oppure un Meyer Trioplan f/2.9 o un Ludwig Victar f/3.5.

La seconda fotocamera, molto simile alla prima, ma molto più famosa e longeva, viene costruita ancora a Dresda da Franz Kochman e viene battezzata con il nome Reflex Korelle. Il dorso si apre nella direzione opposta a quella della Noviflex, il trascinamento del film avviene mediante una manovella posta sul tettuccio e sul coperchio del cappuccio del mirino viene incernierato un mirino a traguardo ausiliario. Il pulsante di scatto è ancora sul fianco destro della scatola dello specchio, e l’obiettivo è intercambiabile con innesto a vite. Per la Reflex Korelle viene fornito lo Schneider Radionar 75mm f/2.9 ma anche lo Zeiss Tessar 80mm f/2.8. La Reflex Korelle viene costruita in diverse versioni. La prima offre otto velocità di otturazione da 1/10 a 1/1000 oltre alla posa B, ridotte con la eliminazione di 1/10s e di 1/1000s . La seconda versione permette anche le velocità lente fino a 2s e possiede il meccanismo dell’autoscatto. La terza versione del 1938 è rifinita con cromature argentate anziché in nero, monta un nuovo innesto a baionetta e torna ad offrire il millesimo di secondo.

Franz Kochman deve abbandonare Dresda a causa delle leggi razziali, e si rifugia in Inghilterra, dove nel dopoguerra viene presentata la fotocamera Agiflex, molto simile alla Reflex Korelle. La Reflex Korelle viene rimessa in produzione anche a Dresda nel dopoguerra e viene commercializzata in Europa con il nome Meister Korelle e in America con il nome Master Korelle.

Con la Noviflex e la Reflex Korelle nascono le monoreflex 6×6 moderne, che associano ad un mirino luminoso la totale intercambiabilità degli obiettivi e un otturatore a tendina dalle prestazioni affidabili. Ma qualche fabbricante, come la società Goltz & Breutmann, dimostra di preferire ancora gli otturatori centrali. La presentazione nel 1930 di una fotocamera Mentor Reflex a lastre di formato 6×9 ed equipaggiata con un otturatore Compur fa sensazione, e viene seguita nel 1935 dalla presentazione della Mentorett 6×6, una reflex per pellicola in rullo equipaggiata con un otturatore Compur Rapid per velocità fino a 1/500s e ottiche Tessar 75mm con luminosità a scelta fra f/4.5, f/3.8 e f/2.8. E’ anomala la contemporanea presentazione di una biottica 6×6 firmata anch’essa Mentorett ed equipaggiata invece con un otturatore a tendina con velocità fino a 1/600s.

Nel 1936 la società Kamera Werkstaetten di Gute & Torsch presenta una nuova reflex 6×6 tipo box, battezzata Pilot ed equipaggiata con un obiettivo fisso 75mm f/6.3 o f/4.5 e con un otturatore rotante con velocità da 1/20 a 1/150 oltre alle pose T e B. La fotocamera KW Pilot deriva da una box camera ma è stilizzata come una biottica 6×6, con lo scorrimento verticale del film, il dorso incernierato in basso e sagomato a L, la manovella laterale di avanzamento del film e il cappuccio pieghevole. La Pilot 6×6 possiede una leva per l’abbassamento dello specchio e la ricarica dell’otturatore. Nel 1939 la fotocamera KW Pilot viene sostituita da un modello migliorato, la KW Pilot Super, che permette la commutazione del formato da 6×6 a 6×4.5, utilizza un mirino convertibile in mirino sportivo con esposimetro a estinzione incorporato, ha un otturatore che arriva fino a 1/200s e permette una certa intercambiabilità degli obiettivi. Fra gli obiettivi disponibili vi sono un 105mm f/4.5 ed un 75mm f/2.9. Nel dopoguerra la società KW abbandonerà questa tipologia per utilizzare invece l’esperienza della Reflex Korelle nella costruzione della reflex 6×6 Praktisix.

Contemporaneamente alla presentazione della KW Pilot, nel 1936, la società Curt Bentzin di Goerlitz presenta una nuova monoreflex 6×6, la Primarflex. La carrozzeria della Primarflex è squadrata, come quella di una box camera, ma la presenza di numerosi bottoni sul lato destro e del grosso cappuccio pieghevole denunciano la presenza di una fotocamera di livello superiore. Il corpo macchina è costruito in legno e metallo ed il dorso è completamente asportabile ma non intercambiabile. L’obiettivo invece è completamente intercambiabile ed il corredo di obiettivi disponibili va dallo standard Meyer Trioplan 100mm f/2.8 fino ad un tele da 400mm. L’otturatore a tendina offre tutte le velocità comprese fra un secondo e un millesimo di secondo, oltre alle pose B e T e la fotocamera dispone anche di un autoscatto incorporato. Il coperchio del mirino a pozzetto incorpora un mirino sportivo pieghevole e la completa amovibilità del dorso permette anche l’utilizzo di lastrine per i formati 6×6 o 6×4.5. Il caricamento dei porta rulli avviene prima del loro inserimento nella fotocamera. Un bottone posto sul lato della fotocamera permette contemporaneamente l’avanzamento del film, la ricarica dell’otturatore e l’abbassamento dello specchio. Il movimento dello specchio è comunque indipendente dalla carica dell’otturatore e può essere alzato o abbassato manualmente. Se la Reflex Korelle prefigura in qualche modo la Praktisix, la Primarflex prefigura in un certo senso la Hasselblad. La Primarflex, battezzata anche Primar Reflex, viene ripresentata con alcune modifiche anche nel dopoguerra, ancora ad opera della casa madre di Goerlitz che nel frattempo è stata nazionalizzata.

Ma la casistica delle reflex 6×6 tedesche degli anni Trenta non si esaurisce con la Primarflex. Nel 1938 viene presentata e costruita una monoreflex 6×6 che si ispira nella forma come nelle prestazioni alle Exakta Vest Pocket. La fotocamera viene messa in produzione da Woldemar Beier a Freital, nei dintorni di Dresda, viene battezzata Beier Flex, ed ha la stessa sagoma carenata verso il frontale tipica delle Exakta. Il primo modello utilizza un otturatore a tendina con velocità da 1/25s a 1/500s, il modello successivo utilizza invece anche le velocità lente di otturazione, fino a due secondi. La dotazione ottica della Beier Flex è costituita da uno Xenar 75mm f/2.8 completamente intercambiabile.

Ancora nel 1938 viene messa in produzione da parte della Ihagee una nuova versione della Exakta, che non utilizza più il formato Vest Pocket, ma il formato quadrato 6×6. L’Exakta gigante si caratterizza per le finiture cromate, per una linea morbida con gli angoli molto addolciti e per una inusuale leva di carica lunghissima e incernierata sul fondello anziché sul tettuccio come di norma. L’Exakta gigante nasce per fare concorrenza alla reflex di medio formato che stanno conquistando il mercato, come le Korelle e le Primarflex, ed offre sul formato maggiore prestazioni analoghe alle Exakta Vest Pocket, come un otturatore con velocità da 12 secondi a 1/1000s, le pose B e Z e l’autoscatto a orologeria. Purtroppo il 1938 è un anno cruciale per i destini del mondo, e la Exakta 6×6 viene costruita in meno di cinquemila esemplari. Equipaggiata con un obiettivo Tessar o Xenar da 80mm con luminosità f/3.5 o f/2.8 la Exakta 6×6 prebellica utilizza un vero corredo ottico che comprende grandangolari Tessar o Berthiot da 65mm, ottiche luminose da 100mm di focale, come i Meyer Primoplan f/1.9 o i Biotar Zeiss f/2.0, ottiche macro come il Makro Plasmat Meyer 195mm f/2.7, e numerosi teleobiettivi da 135 a 360mm firmati Meyer, Zeiss e Berthiot.

Mentre in Europa si addensano le nubi della guerra, la nascente industria fotografica del Giappone, il cui coinvolgimento nel conflitto è ancora incerto, scopre il sistema monoreflex per il medio formato a imitazione dei modelli tedeschi più affermati. Nel 1938 viene costruita una monoreflex 4×4 che somiglia enormemente alla Karma Flex e viene battezzata Baby Superflex. Nel 1940 viene presentata invece una monoreflex 6×6 molto simile alla Reflex Korelle che viene battezzata con poca fantasia Flex Six ma viene commercializzata anche con il nome Shinkoflex.

Il dopoguerra

Gli anni del dopoguerra sono caratterizzati da un clima particolare, con la produzione industriale della Germania e del Giappone praticamente annullata, e con il programma di riconversione verso l’industria di pace stimolato dagli Stati Uniti. In questo clima l’evento fotograficamente più interessante è la presentazione nel 1948 della fotocamera reflex 6×6 svedese Hasselblad. Le Hasselblad con otturatore a tendina, come è noto, vengono messe in commercio a partire dal 1950 e rappresentano una novità particolarmente interessante, perché offrono la completa intercambiabilità degli obiettivi, dei mirini e dei magazzini portapellicola. L’industria tedesca, ancora traumatizzata dalla guerra e divisa dalla politica, non riesce ad elaborare nessuna alternativa valida alla fotocamera svedese, se non alcune stanche riedizioni della Primarflex e della Korelle, mentre gli inglesi mettono in produzione le copie della Korelle battezzandole Agiflex. Solamente la società Ihagee di Dresda, accantonate le Exakta VP prebelliche, mette in produzione fino dal 1950 una reflex originale di formato 6×6 che non somiglia per niente alla Exakta 66 del 1938 e impiega dei dorsi staccabili e precaricabili, insieme a un sistema di obiettivi completamente intercambiabili. La nuova Exakta 6×6 utilizza un otturatore a tendina e un mirino a pozzetto non intercambiabile. La produzione delle Exakta 66 è limitata sia come quantità che come durata, e termina prematuramente mentre le Hasselblad si evolvono dal modello 1600F al modello 1000F e nel 1957 compiono il salto tecnologico con il modello 500C privo di otturatore ma con otturatori Synchro Compur incorporati in ogni obiettivo. Ancora una volta l’industria tedesca non è in grado di replicare, e mentre a Dresda ad opera del consorzio VEB Pentacon viene messa in produzione una reflex 6×6 a tendina derivata dalla Korelle e battezzata prima Praktisix e poi Pentacon Six, le industrie occidentali, con la vistosa eccezione della Zeiss Ikon e della Voigtlaender, non sono in grado che di produrre dei prototipi destinati a rimanere tali. Kilfitt, Plaubel e Rollei si arrabattano attorno a dei modelli stilizzati a somiglianza delle Hasselblad ed equipaggiati con otturatori a tendina. Nessuno di questi prototipi avrà una realizzazione immediata, e la sola reale possibile concorrente della Hasselblad, la Pentacon Six, nonostante i prestigiosi obiettivi firmati Zeiss Jena e Meyer, non riesce ad imporsi nel settore professionale, facendosi accettare a fatica sui mercati occidentali anche a causa della sua origine collocata nel blocco delle repubbliche socialiste. Malgrado tutto la Pentacon Six ottiene un grosso successo commerciale nell’Est, e grazie ad un prezzo competitivo, anche presso molti fotoamatori occidentali che sognano Hasselblad senza potersela permettere. La Pentacon Six rimane in produzione per tutti gli anni Sessanta e Settanta, equipaggiata nella versione Pentacon Six TTL del 1968 con un mirino pentaprismatico con esposimetro TTL al CdS incorporato ma non accoppiato. Nel corso di tutti gli anni Cinquanta neppure la dinamica industria fotografica giapponese è in grado di offrire nessuna alternativa nel settore delle reflex 6×6, se si esclude qualche brutta copia della Korelle e la reflex 6×6 Fujita, che presenta qualche somiglianza con la Hasselblad, ma si sviluppa in verticale e monta un otturatore a tendina da 1/500 di secondo. La Fujita, commercializzata anche con i marchi Fodor e Kalimar, ha gli obiettivi intercambiabili e un parco ottico limitato a tre focali, 52, 80 e 150mm, e ma non ottiene un grosso successo e non lascia nessun segno di rilievo. Contemporaneamente alla dismissione da parte dei Hasselblad delle Hasselblad 1000F con otturatore a tendina, inizia a Kiev in Ucraina, la produzione di una reflex 6×6 identica alla stessa Hasselblad 1000F, che viene battezzata Saljut, ma che non provoca alcuna ripercussione sui mercati internazionali, essendo la sua commercializzazione limitata al solo mercato interno dell’Unione Sovietica. La Saljut si evolve nel modello Saljut C, battezzata anche Kiev 80 e Zenit 80, e successivamente nel modello Kiev 88 TTL equipaggiato con un mirino pentaprismatico con esposimetro TTL al CdS incorporato ma non accoppiato.

la Hasselblad e le autorità sovietiche per la cessione alle officine di Kiev di eventuali licenze, brevetti o addirittura macchinari o parti di macchinari per la costruzione di quelle che sotto molti punti di vista sono considerate le Hasselblad sovietiche. Richard aveva posto la stessa domanda ai dirigenti della Hasselblad, ma senza ottenere delle risposte esaurienti. Se rapporti di questo tipo ci sono stati, non sono comunque documentati.

Dopo aver dominato incontrastata il settore delle reflex monobiettivo di medio formato per tutti gli anni Cinquanta, la Hasselblad vede profilarsi un primo vero concorrente in una piccola industria fotografica giapponese indipendente appena agli esordi. La società Bronica Camera presenta nel 1959 all’IPEX di New York una fotocamera reflex 6×6 che si ispira fortemente alla Hasselblad 1000F, monta un otturatore a tendina ed è equipaggiata con obiettivi e magazzini completamente intercambiabili. Gli obiettivi sono firmati Nikkor, un nome già molto noto nel mondo della fotografia come sinonimo di eccellenza ottica. La fotocamera viene battezzata Zenza Bronica D come DeLuxe, utilizza un originale sistema di ribaltamento dello specchio con scivolamento in basso che permette l’impiego di obiettivi che rientrano molto nel corpo macchina, come il grandangolare da 50mm, senza alcuna limitazione, e rappresenta la prima vera sfida giapponese al monopolio Hasselblad.

Gli anni Sessanta

La prima metà degli anni Sessanta vede un generale e costante miglioramento sia nel settore meccanico che in quello ottico. La Bronica presenta un modello migliorato Bronica S, accompagnato da un modello semplificato privo di magazzini intercambiabili, battezzato Bronica C, e continua a migliorare le sue fotocamere con i successivi modelli S2 del 1965 e S2A del 1969. Hasselblad, da parte sua, si limita ad affiancare nel 1965 alla 500C il modello 500EL che offre le stesse identiche prestazioni della 500C ma è equipaggiata di serie con un motore elettrico per l’avanzamento del film posto sotto il fondello della fotocamera.

La seconda metà degli anni Sessanta è invece caratterizzata dall’arrivo di nuovi forti concorrenti che immettono sul ristretto mercato delle fotocamere reflex di medio formato alcune fotocamere dalle caratteristiche interessanti. Nel 1966 Rollei presenta il modello Rolleiflex SL66 equipaggiato con un otturatore a tendina, un magazzino intercambiabile, un soffietto di messa a fuoco incorporato e un corredo di obiettivi intercambiabili firmati Carl Zeiss che replicano, con poche eccezioni, focale per focale, il corredo Hasselblad. E’ un colpo durissimo per Hasselblad, che si affretta a dichiarare tecnicamente superati gli otturatori a tendina, a proclamare a gran voce la superiorità degli otturatori a lamelle Synchro Compur con la luce del flash, e a diffidare la Carl Zeiss dal continuare a rifornire la concorrente con obiettivi in gran parte studiati per le Hasselblad. Come è noto tutto ciò non impedisce a Rollei di continuare a produrre e a migliorare la SL66 e non impedisce alla Carl Zeiss di fornire a Rollei i suoi migliori obiettivi, fino al Planar 110mm f/2.0, non utilizzabile sulle Hasselblad 500C a causa del diametro troppo stretto dell’otturatore Synchro Compur. Inoltre per la Rolleiflex SL66 vengono messi in catalogo due obiettivi con otturatore centrale Compur incorporato, per poter utilizzare senza limitazioni la luce del flash. Intanto dal Giappone arrivano alcune allarmanti novità. Nel 1968 la società Kowa presenta la reflex 6×6 Kowa Six, priva di magazzino intercambiabile ma equipaggiata con obiettivi completamente intercambiabili con incorporato in ciascuno di essi un otturatore a lamelle Seiko da 1/500 di secondo.

I magazzini intercambiabili arrivano più tardi, nei primi anni Settanta con il modello Kowa Six Super, quando il successo commerciale delle Kowa 6×6 è già sufficientemente affermato. In Giappone nascono anche alcune alternative più tradizionali per il formato 6×6, come le fotocamere Norita della società Musashino, che imita in maniera spudorata la Pentacon Six senza offrire alcuna prestazione particolare. Nel 1966 la società Asahi Optical presenta la reflex di medio formato Asahi Pentax 6×7, che viene messa in produzione nel 1969. Sotto una carrozzeria tradizionale ispirata ancora alla Pentacon Six, la Pentax offre il doppio vantaggio del formato rettangolare 6×7 al posto del formato quadrato 6×6, ed il controllo elettronico delle velocità di esposizione, che vengono ancora selezionate manualmente. Un mirino pentaprismatico con esposimetro TTL al CdS collegato al selettore delle velocità trasforma la Pentax 6×7 in una reflex TTL dalle prestazioni più che affidabili. Bronica e Kowa, Rollei e Pentax, rappresentano altrettanti concorrenti, ma Hasselblad non sembra preoccuparsene più di tanto, e si limita a modificare le proprie reflex aggiungendo la sola possibilità di intercambio degli schermi di messa a fuoco, ribattezzando le due fotocamere del sistema Hasselblad 500CM e 500ELM.

Gli anni Settanta

Gli anni Settanta si aprono con l’ingresso di una nuova protagonista nel settore delle reflex di medio formato, la società giapponese Mamiya. Già presente nel settore del medio formato con alcune fotocamere biottica e alcune fotocamere a telemetro del tipo press camera, nel 1970 la Mamiya presenta un modello monoreflex di formato 6×7 battezzato Mamiya RB67 e caratterizzato da un corredo di obiettivi intercambiabili dotati ciascuno di un otturatore Seiko da 1/400 di secondo. La Mamiya RB67 incorpora inoltre un soffietto di messa a fuoco e utilizza un originale magazzino intercambiabile rotante, per la selezione dell’inquadratura orizzontale o verticale, a scelta del fotografo. La Bronica propone nel 1972 il modello Bronica EC con otturatore a tendina comandato elettronicamente, e già del 1975 presenta la Bronica EC-TL provvista di un esposimetro TTL incorporato nel corpo macchina, in un’epoca in cui i concorrenti, compreso Hasselblad, utilizzano mirini esposimetrici con lettura TTL ma non accoppiati né alle velocità né ai diaframmi. Nel 1974 Rollei avanza la proposta tecnologicamente più avanzata del momento per il medio formato, con la Rolleiflex SLX equipaggiata con un esposimetro incorporato e una serie di motori lineari incorporati per l’avanzamento del film e la selezione automatica dell’esposizione con il controllo dell’otturatore elettronico e del diaframma. Contraddicendo la scelta fatta con la SL66, la SLX utilizza otturatori a lamelle incorporati nella nuova serie di obiettivi Carl Zeiss. La Rolleiflex SLX non utilizza magazzini intercambiabili ma rappresenta un nuovo modo di immaginare e progettare una reflex di medio formato. La Rolleiflex SLX è assolutamente incompatibile con la vecchia Rolleiflex SL66 ed è talmente all’avanguardia che prima di essere prodotta in serie necessita di qualche anno di decantazione.

Nel frattempo nasce in Giappone la prima reflex di formato 6×4.5 ad opera di Mamiya. Preceduta nel 1967 da un prototipo firmato Konica e mai messo in produzione, e preceduta con un certo successo dai magazzini Hasselblad A16 per l’esecuzione su un rullo 120 di sedici immagini di formato 6×4.5, la Mamiya presenta nel 1975 la fotocamera Mamiya M645, equipaggiata con un otturatore a tendina controllato elettronicamente fino a 1/500 di secondo, con uno specchio a ritorno istantaneo, un mirino intercambiabile, un obiettivo intercambiabile 80mm f/1.9 che batte tutti i record di luminosità nel medio formato, ma con un dorso amovibile e precaricabile ma non intercambiabile. Nel 1978 la Mamiya M645 viene affiancata dal modello M645 1000S che arriva al millesimo di secondo, e dal modello M645J dalle prestazioni più limitate. Accanto e quasi contemporaneamente alla Mamiya, anche la Bronica propone fino dal 1976 un modello reflex per il formato 6×4.5, presentando la fotocamera Bronica ETR che si appresta a sostituire le Bronica EC di formato quadrato, e viene equipaggiata con obiettivi Zenzanon che sostituiscono i pregevoli Nikkor. La Bronica ETR non dispone di un otturatore proprio ma gli otturatori a lamelle Seiko sono incorporati negli obiettivi intercambiabili, tuttavia la selezione ed il controllo elettronico delle velocità fino a 1/500s avvengono dal corpo macchina e vengono trasmessi agli obiettivi per mezzo di contatti elettrici. La presentazione della Bronica ETR significa per la società Bronica l’abbandono degli otturatori a tendina a favore degli otturatori a lamelle, con una scelta definitiva. L’obiettivo standard della Bronica ETR è uno Zenzanon 75mm f/2.8. La Bronica ETR dispone di mirini e magazzini intercambiabili e può essere accessoriata con una maniglia laterale con leva di carica incorporata oppure con un motore elettrico di avanzamento del film. Fra i mirini della Bronica vi è il mirino AE che incorpora un esposimetro e permette l’esposizione completamente automatica a priorità dei diaframmi. La Bronica ETR viene seguita dal modello semplificato Bronica ETRC e nel 1978 dal modello ETRS accessoriabile con il mirino AE-II con fotocellule al silicio.

Incalzata in Germania dalla Rolleiflex SLX elettronica e in Giappone dalle 6×4.5 elettroniche di Mamiya e Bronica, nel 1977 anche Hasselblad gioca la carta dell’elettronica, presentando con grande enfasi la fotocamera Hasselblad 2000 FC equipaggiata con un otturatore a tendina metallica con controllo elettronico ma ancora con selezione manuale. L’otturatore della Hasselblad raggiunge 1/2000 di secondo e permette l’impiego di una nuova famiglia di obiettivi, individuati con la lettera F, che permettono di raggiungere luminosità più elevate con il Distagon 50mm f/2.8, il Planar 110mm f/2.0 e il Sonnar 150mm f/2.8. Come è noto l’arrivo della Hasselblad 2000 CF impone anche sulle Hasselblad 500CM e 500ELM l’impiego degli obiettivi nella nuova montatura CF in grado di utilizzare o disinserire l’otturatore Synchro Compur per garantirne la piena utilizzazione sulle nuove Hasselblad. Ma con la Hasselblad 2000FC comincia anche il periodo di irrequietezza in casa Hasselblad, una irrequietezza che raggiunge il culmine negli anni Ottanta e Novanta.

Gli anni Ottanta

Gli anni Ottanta segnano il ritorno al formato quadrato 6×6 della Bronica, che proprio nel 1980 rimette in produzione una 6×6 che è molto diversa sia dalla tradizionale Bronica S che dalla Bronica EC di dieci anni prima. La nuova Bronica viene battezzata SQ come Square e va ad affiancarsi alla Bronica ETRS per il formato 6×4.5 utilizzando la stessa filosofia costruttiva e progettuale, con otturatori elettronici a lamelle Seiko da 1/500 di secondo comandati dal corpo macchina ma incorporati negli obiettivi intercambiabili Zenzanon, e con un sistema di magazzini intercambiabili, di schermi di messa a fuoco e di mirini intercambiabili. Fra i mirini vi è il mirino esposimetrico AE che permette l’esposizione automatica a priorità di diaframmi e che si adatta perfettamente alla Bronica SQA presentata nel 1982 contemporaneamente al modello motorizzabile Bronica SQAM. Nello stesso anno anche Rollei presenta una novità, che però ricalca lo schema della vecchia Rolleiflex SL66 introducendo solo alcune modifiche, come l’esposimetro TTL incorporato. Strutturalmente la nuova Rolleiflex battezzata SL66E assomiglia alla SL66 ed è caratterizzata da un otturatore meccanico a tendina. La nuova Rolleiflex è destinata ad affiancare la SLX ed a sostituire la SL66. Anche Mamiya nel 1982 presenta una novità, una reflex di formato 6×7 derivata dalla RB67 ma battezzata RZ67 e costruita per sfruttare al meglio la potenzialità degli otturatori a lamelle a controllo elettronico da 1/400 di secondo incorporati negli obiettivi intercambiabili. I nuovi obiettivi hanno un diverso sistema di innesto con nuovi contatti elettrici, e la Mamiya RZ67 continua ad offrire la possibilità di rotazione del dorso per inquadrature verticali e orizzontali, ma offre anche la possibilità di arrivare al formato 6×8, offre un motore elettrico da collegare con il fondello della fotocamera, ed offre un mirino con doppio sistema di lettura TTL, media o centrale. Nonostante la diversità di innesto e il ricorso alla elettronica più sofisticata, fra i sistemi RB67 e RX67 continuano a permanere molti punti di contatto, con possibilità di scambio di molti obiettivi e accessori. Con il mirino accessorio AE la Mamiya RZ67 si trasforma in una fotocamera automatica a priorità dei diaframmi. Nel 1983 anche Bronica cede al fascino del formato gigante 6×7 e presenta, accanto alla ETRS e alla SQA il modello GS1. Benché le fotocamere di formato maggiore offrano la possibilità di montare magazzini per formati più piccoli, fino addirittura al 24×56 e al 24x36mm, tutte le fotocamere di formato minore rimangono in produzione. La Bronica GS1, come le sorelle più anziane ma di formato inferiore, utilizza obiettivi con incorporato un otturatore Seiko a lamelle con controllo elettronico e velocità fino a 1/500s, utilizza magazzini, vetrini e mirini intercambiabili, e fra i mirini vi è l’immancabile mirino pentaprismatico AE con selezione automatica della velocità di otturazione. Contrariamente alle Mamiya RB67 e RZ67, la Bronica 6×7 non offre la possibilità di rotazione del dorso, ma l’impiego sempre più generalizzato dei mirini pentaprismatici rende in realtà questa possibilità più teorica che pratica.

Mentre Hasselblad modifica il modello 2000FC rendendo meno vulnerabile la tendina metallica, con il modello 2000FCM del 1983, gli altri protagonisti del mondo delle reflex di medio formato non stanno a guardare e escono con proposte originali. In Germania Rollei sostituisce al modello SLX la Rolleiflex 6006, una fotocamera elettronica con motorizzazione integrale ed esposizione automatizzata, come la SLX, a cui sono stati aggiunti i magazzini intercambiabili di nuova concezione, con antina di protezione incorporata e con trasmissione automatica dei dati relativi alla sensibilità del film. Mentre la Rolleiflex 6006 si rivolge al mondo del professionismo, anche a causa degli altissimo costi che comporta, nonostante la presentazione del modello economico Rolleiflex 6002, la società giapponese Pentax presenta una reflex di medio formato pensata per gli amatori esigenti. La nuova fotocamera, presentata nel 1984, si chiama semplicemente Pentax 645, è priva di magazzini intercambiabili e di mirini intercambiabili, utilizza un otturatore a tendina con controllo elettronico delle velocità fino a 1/1000 di secondo, e grazie agli obiettivi intercambiabili SMC Pentax A, permette la completa automatizzazione dell’esposizione, a priorità dei diaframmi, delle velocità, o in esposizione automatica programmata. Dotata di un motore di avanzamento incorporato la Pentax 645 rappresenta nel mondo delle reflex di medio formato 6×4,5 una interessante novità, che però non viene imitata né da Mamiya né da Bronica.

Mentre Pentax incorpora il motore in una 6×4.5, Rollei incorpora il motore nelle SLX e 6006, e tutte le altre industrie presentano motori accessori per le reflex 6×4.5 o 6×6, anche Hasselblad cede al fascino del motore accessorio. Rinnegando una tradizione legata al motore incorporato e non disinseribile della Hasselblad 500EL, la Hasselblad a tendina elettronica viene accessoriata con un motore esterno applicabile alla manovella di avanzamento del film. La nuova fotocamera predisposta per il winder accessorio viene battezzata Hasselblad 2000 FCW e viene presentata nel 1985.

A metà degli anni Ottanta i giochi sembrano essersi conclusi. In campo oltre alle europee Hasselblad e Rollei, tenacemente ancorate al formato quadrato 6×6, vi sono le tre giapponesi Bronica, Pentax e Mamiya, con una gamma di proposte che vanno dal 6×7 al 6×4.5, e solo Bronica offre un modello 6×6. In Unione Sovietica si costruiscono le Kiev 60 e le Kiev 88, derivate rispettivamente dalla Pentacon Six e dalla Hasselblad a tendina. Entrambe sono meccaniche, entrambe montano mirini esposimetrici TTL, ed entrambe vivono ai margini del mercato, insieme alla Exakta 66, una ulteriore copia della Pentacon Six. In un settore che sembra aver trovato un equilibrio sono poche le novità, e sono tutte europee. Rolleiflex sostituisce alla 6006 la 6008, modificata per l’impiego dei nuovi obiettivi con l’otturatore veloce da 1/1000 di secondo e per l’impiego dei dorsi a registrazione digitale dell’immagine. Hasselblad migliora le proprie fotocamere secondo un programma che vede il modello 500ELX del 1984 incorporare la fotocellula per la lettura della luce del flash, e vede l’adozione generalizzata di un nuovo tipo di rivestimento interno anti riflessi in palpas sui nuovi modelli presentati fra il 1988 e il 1989, come la 2003 FCW, la 503CX e la 553ELX.

Gli anni Novanta

Con il 1991 Hasselblad presenta il nuovo entusiasmante modello 205TCC equipaggiandolo con quanto di meglio riesce ad offrire l’elettronica. La Hasselblad 205TCC significa l’introduzione di un circuito esposimetrico nel corpo macchina, la sostituzione delle tendine metalliche con le tendine in stoffa, l’adozione di un sistema esposimetrico flessibile e polivalente, la nascita di contatti multipli fra corpo macchina da una parte e magazzini, mirini e obiettivi dall’altra. Sofisticata e aperta a nuove evoluzioni la 205TCC è accessoriabile con un motore di avanzamento del film e con un mirino prismatico. Mentre in casa Hasselblad la 205TCC viene seguita da altri modelli con otturatore a tendina con controllo elettronico, collegato o meno con il circuito esposimetrico per il funzionamento automatico, in Giappone ci si limita a perfezionare i modelli esistenti con l’adozione della fotocellula TTL flash sulle Bronica ETRSi e SQAi, mentre Mamiya riprogetta il modello 6×4.5 battezzandolo Mamiya 645 PRO e dotandolo di magazzini intercambiabili e il modello RZ67 viene sostituito dal modello RZ67-II appena modificato.

Hasselblad sembra invece colta dalla febbre del rinnovamento a tutti i costi. La Hasselblad 503CX viene sostituita dal modello 503CXi, la 500CM viene proposta come 500 Classic e poi ripresentata come 501C e come 501CM. Nel 1996 viene presentata la 503CW con otturatore Synchro Compur e motorizzabile con un winder esterno analogo a quello delle Hasselblad a tendina. Con questa ultima mossa Hasselblad riapre la concorrenza interna fra i suoi stessi modelli, concorrenza che sembra accentuarsi con la presentazione nel 1998 dei modelli 555ELX motorizzato e 202FA elettronico e automatico.

Conclusioni

Mentre Hasselblad diversifica, per così dire, la propria produzione di reflex 6×6, articolandola in più modelli dalle caratteristiche tutto sommato simili e con evidenti ripetizioni nelle prestazioni, la concorrenza tedesca rappresentata da Rollei e quella giapponese rappresentata da Mamiya, Bronica e Pentax, non sta certamente a guardare. Rollei presenta per le reflex della famiglia 6000 una serie di obiettivi con otturatore centrale PQS ultra veloce capace di un millesimo di secondo, e predispone le proprie fotocamere per l’impiego dei dorsi digitali. Nel 1998 Pentax presenta una nuova versione della 645 battezzandola 645N ed equipaggiandola con obiettivi autofocus, mentre la società Kyocera inaugura il proprio ingresso nel settore del medio formato con la presentazione alla Photokina del 1998 della reflex automatica ed autofocus Contax 645 equipaggiata con un otturatore a tendina con la velocità di un quattromilesimo di secondo. Anche la tradizionale Pentax 67 di evolve nel modello con esposizione automatica 67-II, mentre Mamiya presenta la versione autofocus della sua 645. In un mondo dominato dall’elettronica e con la presenza sempre più ingombrante delle immagini digitali, il settore del medio formato reflex sembra comunque destinato a una profonda modificazione. Con Bronica che non presenta nessun nuovo modello reflex di medio formato dalla metà degli anni Ottanta e con le novità presentate da Pentax, Contax e Mamiya, con la vocazione di Rollei per il digitale, c’è da aspettarsi qualche grosso cambiamento nei prossimi mesi.

Grandangolari senza specchio

Poiché la Hasselblad fino dal 1954 ha messo in produzione il modello SW privo di specchio e dotato di un obiettivo fisso super grandangolare con mirino ottico, cimentandosi in un settore in qualche modo diverso se non opposto come concezione filosofica a quello delle reflex, non mi sembra inopportuno andare a dare un’occhiata a quello che ha realizzato la concorrenza nello stesso settore o nei settori strettamente paralleli. Premesso che nessuna industria fotografica, a quel che mi risulta, ha mai messo in produzione fotocamere super grandangolari di formato quadrato 6×6, mi sembra che manchino gli elementi di paragone diretto. Ma bisogna considerare che il formato 6×6, nonostante le affermazioni di Rollei e di Hasselblad, non è certamente il più adatto ad una ripresa fotografica grandangolare, specialmente se si parla di riprese di architettura. Nelle riprese di facciate o di interni il 6×6 si rivela quasi sempre limitativo, salvo nel caso di edifici molto particolari. O il formato quadrato non è sufficiente, o si risolve in uno spreco di pellicola, con grandi aree del fotogramma occupate dal terreno o dal cielo. Il formato quadrato 6×6 nasce, o rinasce, come è noto, nei primi anni Trenta con la diffusione delle reflex biottica, per eliminare in qualche modo l’imbarazzo della scelta fra inquadrature verticali o orizzontali, e si ripropone per le monoreflex in un momento in cui i mirini pentaprismatici sono oggetti ancora sconosciuti e comunque di impiego molto limitato. Ma in una fotocamera con mirino ottico come la SW questo obbligo non sussiste, e la scelta del formato quadrato 6×6 viene compiuta esclusivamente per uniformarsi al formato delle Hasselblad reflex. Poiché negli anni Cinquanta il sistema Hasselblad è completamente sprovvisto, per ovvi motivi, di grandangolari estremi, viene fatta una scelta che anticipa in qualche modo quella della Zeiss e della Nikon sulle reflex 35mm. Si tratta di inserire a forza in un sistema reflex un grandangolare estremo, come il Biogon 21mm o il Nikkor 21mm, rinunciando al mirino reflex ed utilizzando invece un mirino ottico ausiliario. Ma contrariamente a Zeiss e Nikon, Hasselblad ritiene inutile interporre fra l’obiettivo grandangolare e il magazzini porta pellicola un ingombrante corpo reflex con lo specchio bloccato in alto, e applica direttamente l’obiettivo al magazzino, dopo aver equipaggiato l’obiettivo con un otturatore Compur a lamelle e un mirino. Nessuna altra industria fotografica è così ardita da seguire l’esempio di Hasselblad e da progettare e mettere in produzione una fotocamera grandangolare per il poco pratico formato quadrato per pellicola in rullo.

Negli anni Cinquanta però alcune fotocamere di medio formato per pellicole piane o in rullo di formato 6×9 o 6×7 e con obiettivi intercambiabili, come le Plaubel Makina, le Linhof e le Mamiya Press, cominciano a montare obiettivi grandangolari più o meno spinti, come il Biogon 53mm.

Nascono anche fotocamere per il formato 6×9 su film in rullo equipaggiate con obiettivi fissi di tipo grandangolare estremo, come la inglese Envoy, commercializzata anche dalla Ilford, che monta un obiettivo da 64mm con luminosità f/6.3 che copre un angolo di 82 gradi, ed è seguita nei primi anni Sessanta dalla Horseman Convertibile che monta un obiettivo da 62mm f/5.6 e può utilizzare dorsi porta rulli per il formato 6×9 o 6×7. Anche la Plaubel mette in commercio un modello Plaubel Veriwide 6×9 equipaggiata con un obiettivo Super Angulon 47mm f/8 che copre un angolo di 100 gradi.

Tralasciando le fotocamere per film in rullo di tipo super grandangolare ma di tipo panoramico ad ottica fissa e non rotante, come le tedesche Linhof Technorama 6×17 o 6×12, nate negli anni Settanta e riproposte fino ad oggi, o le più recenti giapponesi Art Panorama 6×17 o 6×12, fino alle Fuji G617 e GX617, bisogna citare invece fra le possibili concorrenti della Hasselblad SWC altre fotocamere grandangolari, come la Brooks Veriwide degli anni Settanta, equipaggiata con un Super Angulon 47mm f/8 sul formato 6×9 e la Plaubel Superwide Proshift dei primi anni Ottanta, equipaggiata anch’essa con un Super Angulon 47mm f/5.6 sul formato 6×9 e dotata di correzione della parallasse e del decentramento orizzontale e verticale dell’obiettivo. Più modesta e maneggevole, ma non meno interessante è la contemporanea Plaubel Makina W67, che monta un grandangolare Nikkor 55mm f/4.5 sul formato 6×7 e copre un angolo di 77 gradi. Contrariamente alle Envoy, alle Horseman e alle Plaubel Veriwide che utilizzano semplici mirini a cornici di tipo sportivo, le Plaubel Superwide utilizzano mirini ottici di tipo galileiano e la Plaubel W67 utilizza un mirino con telemetro accoppiato.

Preceduta da una Fujica 6×9 con mirino telemetrico e con obiettivi intercambiabili, fra cui un grandangolare da 55mm, nei primi anni Ottanta nasce ad opera della stessa Fuji la fotocamera ad ottica fissa GSW 690 con telemetro e obiettivo da 65mm f/5.6 per un angolo coperto di 76 gradi sul formato 6×9. La stessa fotocamera viene proposta nelle due versioni successive GSW 690-II e GSW 690-III. Nel 1984 la Fuji presenta una fotocamera grandangolare per il formato 6×4.5 battezzandola Fuji GS 645W ed equipaggiandola con un telemetro, un obiettivo da 45mm f/5.6 che copre un angolo di 76 gradi, e con una fotocellula per la misurazione della luce. La fotocamera viene sostituita nel 1998 dal modello GA 645Wi con obiettivo 45mm f/4.0, esposizione automatica, avanzamento automatico del film e con un otturatore da 1/700 di secondo.

In casa Mamiya viene presentata nel 1898 la Mamiya 6 di formato quadrato 6×6 con telemetro, esposizione automatica e obiettivi intercambiabili. Nel corredo della Mamiya 6 vi è un obiettivo grandangolare 50mm f/4.0 che copre 75 gradi. La Mamiya 6 viene sostituita dal modello 6MF che utilizza i due formati 6×6 e 6×4.5 e monta gli stessi obiettivi. Nel 1995 viene infine presentata la Mamiya 7 di formato 6×7, e fra i suoi obiettivi è presente un grandangolare spinto da 43mm f/4.5 a dieci lenti che somiglia molto nello schema ottico al Biogon 38mm e come questo copre sul formato 6×7 un angolo da 92 gradi.

Tutto questo affollamento in un settore fino a qualche anno fa poco frequentato vede la 6×6 grandangolare svedese stretta fra le grandangolari 6×7 e 6×9 da una parte e le grandangolari 6×4.5 dall’altro. Anche se poche di queste fotocamere raggiungono il limite estremo del Biogon, che rimane ancora la focale più corta in assoluto per numero di millimetri, la tendenza in atto non può che preoccupare la Hasselblad. La stessa Hasselblad, del resto, con il suo grandangolare retrofocus Distagon 40mm minaccia da vicino e da più di trenta anni il campo di lavoro del Biogon, mentre gli altri costruttori di reflex di medio formato mettono in catalogo grandangolari retrofocus sempre più corti. La Rolleiflex utilizza lo stesso Distagon 40mm, oltre a un Super Angulon Schneider da 40mm e un decentrabile Super Angulon 55mm f/4.5, e anche la Bronica SQ 6×6 ha un 40mm a disposizione. La Mamiya 6×7 e la Bronica 6×7 hanno in catalogo come focale più corta un 50mm mentre la Pent

ax 6×7 ha in catalogo un 45mm. Fra le fotocamere reflex di formato 6×4.5 la Bronica ha un 40mm mentre Mamiya e Pentax hanno un 35mm ciascuna, e per la nuova Contax 645 è stato annunciato un Distagon 35mm. Anche se per ora nessuno di questi obiettivi minaccia direttamente il Biogon 38mm della SWC, i tempi sembrano maturi per qualche cambiamento.

Non per caso la Hasselblad ha messo in catalogo la fotocamera Arc Body, ancora limitata dall’impiego dei magazzini Hasselblad 6×6, ma che utilizza obiettivi Rodenstock decentrabili con focali da 75 e 45mm, ma anche da 35mm. Da questo ultimo obiettivo ci si aspetta che rubi davvero qualche spazio alla più classica fotocamera grandangolare della casa.

Hasselblad e collezionismo

Per finire, dato che questo incontro si svolge alla vigilia di una importante mostra mercato delle fotocamere d’occasione e da collezione, prima di passare la parola, vorrei fare un breve accenno al rapporto fra il mondo Hasselblad e quello del collezionismo. Il collezionismo, come è noto, si ciba di due tipi di fotocamere. Quelle antiche e quelle per qualche verso rare, se non addirittura realizzate in edizione limitata. Le Hasselblad, viceversa, sono fotocamere nate per essere usate più che collezionate. La stessa Hasselblad, qualche anno fa, ha voluto premiare la più vecchia Hasselblad ancora in funzione. Si trattava, se non ricordo male, di una Hasselblad 1000F acquistata di seconda mano da una fotografa ritrattista americana.

Hasselblad e collezionismo sembrano perciò essere due mondi privi di punti di contatto. Chi acquista una Hasselblad di seconda mano lo fa per usarla e non per collezionarla QUI LE POTETE TROVARE . Eppure un certo interesse collezionistico per le Hasselblad sembra esserci. Le Hasselblad più richieste e valutate dai collezionisti sono naturalmente le più vecchie, le 1600F e le 1000F con i loro obiettivi Kodak o Zeiss, ma anche le grandangolari SWA e SW. L’anzianità, la produzione limitata e l’interesse per il nome stanno facendo lievitare i prezzi dell’usato e del collezionabile. Le 500C con obiettivi cromati sono addirittura in alcuni casi valutate di più delle moderne 500CM.

La stessa società Hasselblad, del resto, non ha esitato ad incentivare il lato collezionistico della sua produzione, producendo con il contagocce alcuni modelli in edizione speciale, quegli stessi modelli che Richard Nordin ha scrupolosamente recensito e descritto nel suo Compendium.

La produzione delle fotocamere in edizione limitata inizia nel 1974 in occasione del 25° anniversario della prima reflex Hasselblad, con la commercializzazione di 1500 fotocamere 500CM timidamente modificate con la semplice apposizione di una targa commemorativa. Seguono nel 1979 altre 1500 fotocamere con targa commemorativa, ma questa volta si tratta di 500 ELM e si festeggiano i dieci anni del primo sbarco sulla luna.

Nel 1982 1500 Hasselblad 500 ELM celebrano i venti anni nello spazio, e per l’occasione cambiano abito e si fregiano di un rivestimento esterno argenteo che simula il rivestimento spaziale riflettente.

Negli anni Ottanta e Novanta si cominciano a commercializzare le Hasselblad con finiture dorate. Nel 1985 vengono messe in vendita 1500 Hasselblad 2000 FCM, nel 1987 1400 Hasselblad CM, nel 1991 700 Hasselblad 503 CX, e nel 1998 tocca alle 503 CW.

A queste fotocamere, destinate ovviamente al mercato collezionistico privato, si aggiungono i pezzi unici senza prezzo realizzati con finiture davvero particolari, come la Hasselblad 500C n. 100.000 con rivestimento nero e finiture dorate realizzata per Victor Hasselblad, e la Hasselblad SWC con rivestimento rosso realizzata per la Carl Zeiss in occasione dei venticinque anni del Biogon 38mm.

Esistono poi le fotocamere in finiture speciali che la Hasselblad ha donato ad alcune teste coronate, naturalmente cominciando dai reali di Svezia e proseguendo con i reali del Belgio e dell’Inghilterra.

Si tratta di fotocamere uniche per possedere le quali molti collezionisti oggi venderebbero sicuramente l’anima al diavolo.

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